A distanza di qualche decennio dalla prima ricerca di valore scientifico condotta nel dopoguerra, si può ancora affermare che le notizie su Santa Maria a piè di Chienti (la chiesa tuttora visibile nella sua composta interezza, ma anche il vasto complesso di beni di cui questa era parte) sono poche e frammentarie. La fonte storica più antica è del 936 e inscrive la vicenda di Santa Maria in quella molto notevole dell’imperiale abbazia benedettina di Santa Maria di Farfa nel reatino. In quel documento si parla dell’esistenza di una cella monastica dedicata a Santa Maria situata presso il fiume Chienti, e con ciò s’intendeva una chiesa di dimensioni certamente più modeste rispetto alle attuali, di un piccolo monastero annesso e della presenza di una minima comunità di monaci. La data è puramente indicativa perché il sito originario potrebbe collocarsi, con una datazione di tutta prudenza, nei secoli VII-VIII, e legarsi alla presenza dei longobardi convertiti, oppure, in un ulteriore tentativo di retrodatazione, a localizzazioni monastiche di matrice orientale. I documenti farfensi successivi citano costantemente la nostra Santa Maria, attestandone la consistente crescita di ricchezza e di prestigio, ma non attribuendole mai il titolo abbaziale, cosa che oggi molti erroneamente fanno (e ugualmente può dirsi per il titolo di basilica e di santuario). E proprio nel primo quarto del secolo XII, forse all’apogeo di questa crescita, fu costruita la nuova chiesa, la quale, almeno nel suo disegno essenziale, è quella che ancor oggi si vede.
La chiesa è stata dichiarata monumento nazionale nel 1902
Va da sé che Santa Maria lega le sue sorti a quelle farfensi e il decadere della funzione storica di abbazia imperiale, col subentrare degli abati commendatari di controllo pontificio, determina una decadenza del sito. A questa decadenza devono anche aver contribuito gli effetti nefasti di una notevole battaglia combattuta sul basso Chienti nel mezzo del Duecento, una fra le tante che videro contrapposte le forze papali e quelle imperiali. La nascita e l’affermarsi dei liberi comuni, e poi il protagonismo militare e politico di famiglie potenti, furono l’occasione della rinascita determinatasi tra il secondo Trecento e il primo Quattrocento. Nel 1387 Santa Maria ottenne per sé la concessione della festa della Santissima Annunziata (questo è l’altro nome col quale la chiesa è tuttora conosciuta), della concessione delle indulgenze e dell’istituzione della fiera, notevole volano economico per il territorio. Fra l’altro la chiesa fu rialzata, stabilizzata con un piano superiore, dal terzo arco d’ingresso, cui si accedeva da una scalinata che occupava per intero la navata maggiore, fu dotata d’importanti affreschi, in più parti ma soprattutto nel catino absidale, con i dovuti rifacimenti dell’emiciclo superiore. Fautori di quest’opera furono Mitarella dei Monteverde (nel Trecento) e il preposto Giacomo Pellicani (nel Quattrocento).
Nel 1477, e poi definitivamente nel 1492, dopo breve tempo di revoca, la chiesa con i beni annessi fu ceduta dai papi regnanti al varanesco ospedale di Santa Maria della Pietà di Camerino. Si recide così il legame con Farfa e inizia il lungo periodo camerte che durerà fino a tutto il secolo XX, quando la chiesa fu ceduta al comune di Montecosaro, priva, però, di quei beni che le bolle pontificie garantivano per il suo sostentamento. Nei tempi del periodo camerte sono soprattutto i resoconti delle visite pastorali dei presuli -obbligo tridentino- a descrivere lo stato della nostra chiesa, in un altalenarsi di periodi di trascuratezza e di grave crisi, tali da metterne in pericolo la sussistenza, con altri di rivitalizzazioni e di slanci progressivi. Il Novecento è il secolo dei grandi lavori di restauro e consolidamento, grazie ai quali la chiesa -dal dopoguerra sede parrocchiale- è tuttora ben conservata, fruibile per la celebrazione delle funzioni religiose, disponibile per le visite dei cultori di storia e di arte, e anche dei visitatori occasionali.